Intento, stile e generi
Ho voluto dare spazio al rapporto di analogia tra il mondo delle idee (le cose empiriche) e la meta-idea che ne costituisce il modello universale, e dunque generale, di rappresentazione della realtà. Attraverso questa mimesi, con cui ho voluto raccontare il nesso tra vita reale e rappresentazione artistica della sua realtà, della sua cogenza, ho utilizzato le storie e i personaggi per comunicare la necessità di confrontarsi nel “luogo ideale, umanistico, dell’incontro e dello scontro della coscienza individuale e di quella collettiva”, che, sempre più orientate ad un consumo tecnologico alienante e disperdente l’essenza originale della natura umana, hanno il dovere di soffermarsi sul proprio percorso di vita, di riappropriarsi del proprio tempo per rifulgere negli individui una nuova prospettiva, una rinnovata capacità di immaginare il domani e intravedere il futuro.
La scelta stilistica del modello narrativo che ho adottato nell’enucleare i racconti è stata finalizzata a descrivere i sentimenti di angoscia, tensione, paura, ignavia, accidia, superbia e viltà che caratterizzano questo nostro tempo per instaurarvi un dialogo aperto tra presente e passato. Soltanto questa recuperata relazione temporale sincronica sarà in grado di sostenerci nel nostro processo evolutivo, individuale e collettivo, che attraverso la memoria storica potrà affrontare le prossime sfide di sopravvivenza e di organizzazione sociale multiculturale verso cui tende l’umanità. Per questo motivo, scrivendo questi racconti, ho inteso aprire un’indagine storica – come diceva Marc Bloch alla fine degli anni venti – sul senso dell’evoluzione politica globale, della valenza dell’organizzazione economica omologante e limitante in cui ci siamo reclusi senza più lasciare afflati di prospettiva costruttiva dei processi relazionali sociali ai meccanismi umanistici e conoscitivi.
Le motivazioni che sono alla base di questi ventinove racconti, utilizzando i più svariati generi letterari, sono molteplici ma la principale è stata determinata dalla volontà di ricostruire e ri-narrare le fenomenologie di pensiero e di azione umana nel tempo storico, quale progressione cronologica degli eventi, e nello spazio geografico, quale percezione soggettiva della realtà, da cui si estrinseca la valenza intellettuale di ciascun essere umano. In conclusione, nel raccontare le ventinove storie di questi racconti ho voluto comunicare il sistema culturale globale che ci circonda e ci compendia nella nostra essenza vitale e descrivere le pulsioni primordiali, positive e negative, che caratterizzano la natura umana, e dalle quali, in questo nostro tempo, definito “di progresso di civiltà”, è sempre più difficile e complicato affrancarsi al fine di poter ascendere realmente verso un processo evolutivo omogeneo e strutturale in tutte le sue componenti politiche, sociali e culturali.
Nei ventinove racconti che compongono il volume ho attribuito rilevanza alla geografia dello spazio al fine di evidenziare l’elemento culturale che connota ciascuno dei personaggi protagonisti per esplicitarne l’origine e la memoria storica ciascuno nella sua avventura. Sempre con la medesima impostazione narratologica, ho ritenuto estremamente importante descrivere l’elemento “tempo”, fondamentale per porre in risalto il trapasso dei protagonisti da uno stato di alienazione ad uno di cognizione del proprio valore e della propria forza immanente di amore per la vita, ricorrendo ai fenomeni di “ordine” (successione degli eventi nella storia e loro disposizione nel racconto), “durata” (ampiezza temporale degli eventi nella storia rispetto all’insieme del racconto), e “frequenza” (ripetizione sincronica degli eventi nella storia e nel racconto).
Ho voluto, in sostanza, evidenziare, mediante la dinamica temporale, il passaggio dei protagonisti da una condizione di ignavia, di viltà, di paura, di indifferenza verso l’altro da sé e di relativismo culturale, allo stato di “essere umano” corroborato e rafforzato dai princìpi di coraggio, azione, decisione, fede, responsabilità e amore. Pertanto, al fine di incrementare l’incidenza della fase di cambiamento dei presupposti culturali che determinano l’azione di ciascuno dei personaggi protagonisti, in alcuni racconti ho fatto ricorso ad una discrepanza tra l’ordine degli avvenimenti e la loro successione nella storia. L’anacronia in tal modo ottenuta, mi ha permesso, attraverso il ricorso alle prolessi (raccontare in anticipo un evento ulteriore), e alle analessi (evocazione di un evento anteriore al punto della storia in cui ci si trova), di aumentare, in base alla “fabula” del racconto, la portata e l’ampiezza di tali elementi per approfondire e risaltare tutti quegli aspetti peculiari dell’avventura che potessero meglio connotare la storia e il suo protagonista. Inoltre, in alcuni racconti, in base ai costrutti narratologici contingenti della storia, ho utilizzato la tecnica dall’anisocronia, attraverso la quale ho modificato il ritmo temporale e la velocità materiale della dinamica scenica, avvalendomi dell’effetto “sommario” (attribuendo più importanza al tempo della storia rispetto al tempo del discorso), dell’effetto “scena” (in cui v’è coincidenza fra tempo e discorso), e dell’effetto “analisi” (dove il tempo della storia è subordinato al tempo del discorso e dunque inferiore) al fine di coinvolgere l’attenzione del lettore, di stimolare la sua partecipazione emotivo/spirituale e di sollecitare le sue capacità empatiche per suscitare una corrispondenza identitaria con i vari protagonisti.
Infine, per attribuire omogeneità strutturale e narratologica alle “fabule” e agli “intrecci” di questi racconti molto variegati e diversi tra loro, nel fervore della creatività e nel lavoro di stesura, attraverso l’approfondimento descrittivo dell’ambito spaziale (territoriale) con cui ho voluto rappresentare l’elemento introspettivo dei protagonisti, mi sono ispirato alla tecnica della “narrazione a cornice” adottata da Giovanni Boccaccio nella composizione de il “Decamerone” (1350-1353), che si sviluppa secondo uno schema narrativo organico di storie finite (i racconti) attorno ad un elemento costruente e legittimante (la peste “nera” del 1348) che le determina e verso cui convergono nel quadro di un mèta-racconto (inteso nell’accezione temporale di fenomeno che si manifesta in fasi successive e di sequenzialità contigua di un evento all’altro). Tuttavia, diversamente dalla struttura narratologica del “Certaldese”, la “narrazione a cornice” che ho adoperato, si sviluppa sulla base di una coesione tematico/compositiva legittimata dai concetti di responsabilità individuale, coraggio di vivere, fede e forza di amare, motivato da un’ansia incontrollabile di voler comunicare, quasi in funzione apotropaica, che esiste sempre una possibilità di prospettiva per il protagonista della storia, e quindi, per l’uomo o per la donna che viva la “fabula” del racconto.
Relativamente ai generi letterari, invece, che ho prescelto per raccontare le ventinove storie, essi sono molteplici, ma ho teso a renderli tutti riconducibili ad una medesima impostazione metodologico/narratologica, basata su un intenso connubio tra “fabula” (il materiale narrativo), e “intreccio” (la storia come viene narrata), affinché risultassero capaci di attrarre e coinvolgere il lettore rendendolo empaticamente partecipe e quasi protagonista della storia, e divenissero funzionali a raccontare emozioni, pensieri, sensazioni, impressioni, percezioni, convinzioni, sogni e passioni.
Ho scritto ogni racconto quasi come se l’avessi realmente vissuto, quasi volessi descriverlo e comunicarlo simile ad un viaggio attraverso cui l’individuo riscopre sé stesso, conosce la propria vita, scopre l’onore della responsabilità individuale, il rispetto per l’altro da sé, l’amore per la vita, avendo in tal modo il coraggio e la forza di affrancarsi dalle vacuità del suo “tempo”, con cui, pervicacemente, crede di poter raggiungere la felicità. I generi, convenzionalmente definiti quali forme codificate di un’espressione o categorie circoscritte di una manifestazione di pensiero e di sentimento, che ho utilizzato per raccontare pensieri, percezioni e sensazioni attraverso le dinamiche delle ventinove storie, li ho voluti enucleare come un’insieme di azioni sensoriali e intellettuali tese alla scoperta di qualcosa di inintelligibile, di indecifrabile, se non attraverso una forza mai doma, una forza oscura e aliena alle consuetudini “scientifiche” della ragione, che se sostenuta dall’amore dell’individuo per la vita, può fungere da Exemplum, non inteso quale racconto nella sua funzione moralizzatrice/dottrinale medievale di matrice ecclesiastica, ma come suggerimento e indicazione che “oltre il buio” esiste sempre una speranza per il domani, un’alternativa all’oscurità dell’ignoto, una concreta possibilità di sopraffare il sadico “gioco” del fato che attanaglia gli esseri umani con i suoi cinici misfatti.
In conclusione, mi preme confessare che attraverso questa serie di racconti ho voluto restituire dignità e memoria al principio e sentimento del “buon senso”, che reputo, sublime, nella sua esplicazione, da parte dell’uomo, quale rappresentazione della sua dignità e di colui o colei verso cui si esplica. Il “buon senso”, un principio, un sentimento umano, oramai troppo dimenticato e forse anche misconosciuto a tutti quelli che non hanno più i baluardi della storia, della saggezza e della considerazione di coloro che hanno vissuto un tempo addietro rispetto alla loro vita cogente e pulsante di emozioni e pensieri, seppur patendo le stesse gioie, le stesse ansie, le stesse speranze e gli stessi amori, così come i dolori e le struggenti passioni di un vivere che mai ci soddisfa, finche non comprendiamo che l’essere “umani” non è un dovere, oppure un caso, ma un dono meraviglioso di quella forza arcana e misteriosa che connotiamo e presumiamo di interpretare e conoscere come vita.
Mike Barbone